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Essere genitori

12/06/2021

Alle volte i luoghi comuni, oltre a essere irritanti da ripetere, scrivere e sentire contengono un po’ di verità. Ebbene, che essere genitore sia uno status, un mestiere, una attività, una sorte fra le più difficili da gestire mi sembra una verità insindacabile.

Il perché è ovvio: in fondo fare il genitore è un vero e proprio “processo produttivo” di cui non solo non si conosce la tecnica da utilizzare, ma non si sa neppure il tipo di “prodotto” che deve uscire. In sintesi, è un processo di cui non si conosce niente prima e non si riesce a valutarne il risultato dopo.

Ciò non toglie che, bene o male, tante persone si trovano nella loro vita a impegnarsi in questa attività.

Io sono una di queste persone che, a un certo punto della sua vita, si è trovato a gestire una doppia paternità e, arrivato a un punto di non ritorno (quello che è fatto è fatto) spesso si trova a pensare: come mi sono comportato come genitore? Quali risultati ho ottenuto? 

Va da sé che è assolutamente inutile cercare nei figli una risposta: qualsiasi sia la loro valutazione non sarà mai attendibile per il genitore che abbia la voglia e il coraggio di domandarla e ascoltarla.

E allora come se ne esce? Le domande rimangono e sono sospese nell’aria senza risposta?

Mi è venuta l’idea di individuare dei “parametri teorici” attraverso i quali possa essere possibile capire, forse valutare, la propria attività genitoriale.

Per prima cosa dobbiamo liberarci di tutti quegli aspetti che potremmo chiamare oggettivi e imperscrutabili e che sinteticamente possiamo incasellare nella parola “caso” o “fatalità”, ma che hanno un enorme peso sull’esercizio della genitorialità. L’elenco è lunghissimo e variegato, possiamo iniziare degli elementi strutturali fisici della prole, dal DNA alla salute, per proseguire con le caratteristiche del genitore e le caratteristiche dell’ambiente familiare: economiche, sociali, culturali; infine, altrettanto importanti sono le caratteristiche ambientali: economiche, sociali, geografiche e storiche in cui questo “processo produttivo” si colloca.

Tutte queste caratteristiche hanno un peso determinante sullo sviluppo del mestiere di genitore e su cui il singolo genitore ha poca o nessuna possibilità di incidere in modo sensibile se non per fenomeni legati anch’essi al caso.

“Liberati” da questo enorme fardello, che pesa enormemente sull’attività del povero genitore, vediamo quale possa essere invece la guida capace di orientare l’attività genitoriale per cercare di ottenere, con tutti i limiti delle condizioni materiali, un “buon prodotto”.

Pensando alla mia esperienza e valutando soprattutto quelli che ex-post considero errori e contraddizioni, mi sembra di aver individuato tre aspetti che dovrebbero “guidare” il comportamento genitoriale nel “forgiare” la propria prole.

1)    Lasciare libertà di scelta.

2)    Trasmettere la capacità di individuare e valutare le conseguenze delle scelte fatte.

3)    Trasmettere la capacità psicologica di affrontare le conseguenze delle scelte che si fanno.

A mio avviso, già presi uno alla volta, sono obiettivi difficilissimi, ma il grosso problema è che sono legati in modo indissolubile: senza la presenza equilibrata dei tre aspetti si può vanificare tutto. 

Perché ho scritto queste considerazioni? È ovvio che le ho scritte più per me che per farle leggere ad altri. Le ho scritte perché con l’età è arrivato il momento delle valutazioni di ciò che si è fatto. Che sia utile o meno, visto che quel che è fatto è fatto, è molto dubbio, sia dal punto di vista personale che da quello eventualmente “divulgativo”. 

Ma la conclusione non può essere che: visto che mi capita sempre più spesso di pensare a queste cose, perché non provare scriverle, forse può contribuire a razionalizzare il pensiero e chissà forse a condividerlo.


PS Chi ha letto avrà notato che non ho mai usato parole come amore e sentimento verso i figli. La cosa è voluta, specialmente dietro la parola amore nel confronto di altre persone, spesso anche dei figli, si nascondono e si giustificano gli atti più disgustosi. Per amore si fanno così tante di quelle cose diverse ad altre persone che a mio avviso la parola ha perso ogni significato (se non per far rima con cuore nelle canzonette!).