In questi ultimi tempi molte persone, invece di aumentare la fiducia nella scienza, hanno aumentato, se non la sfiducia, almeno il dubbio. In questo periodo di pandemia si sono sentiti moltissimi scienziati, o persone che così si definivano o così venivano definiti dai giornali, che parlando dell’epidemia dicevano cose spesso diverse o, ancora più spesso, contrastanti. È ovvio che il lettore e chi è preoccupato del problema dell’epidemia non sa a chi dare ragione e in questo modo sorgono anche perplessità e dubbi di base sulla capacità della scienza di spiegare cosa stia succedendo e ancor di più quali siano i provvedimenti per affrontare l'epidemia.
Il problema secondo me non è tanto quello della scienza ma il problema del rapporto fra gli scienziati e i problemi complessi (da non confondere coi problemi difficili). Ormai gli scienziati, quale che sia il loro campo di studio, tendono necessariamente a specializzarsi in aree molto ristrette e limitate del loro campo di studi e ricerca; su queste aree ci sono scienziati bravissimi e ci sono spesso molte certezze raggiunte, anche se naturalmente, come in tutti i campi, ci sono ancora dubbi e cose da scoprire. Quando si è di fronte a un problema complesso, e l'epidemia è un tipico problema complesso nel senso che coinvolge ed è analizzabile guardando un numero enorme di variabili e di problemi, non c’è soltanto una specializzazione attraverso la quale la si può analizzare. Difficile fare un elenco esaustivo dei temi che vengono coinvolti nello studio di una epidemia/pandemia: si inizia naturalmente dai problemi medici relativi alla malattia che il virus causa, quindi: gravità degli effetti del virus, tipo di virus, come si propaga questo virus, velocità e intensità, come si curano gli effetti della malattia, che tipo di danni collaterali provoca, quali sono i rischi per le persone e quindi l’analisi delle differenze fisiche (sesso, peso, età) e dei problemi pregressi. Ma questo è solo il problema iniziale, il problema è che, quando si tratta di epidemia, i problemi legati alla malattia sono solo una parte degli elementi, oserei dire la parte relativamente meno complessa da affrontare e quindi meno “conflittuale”. I problemi più importanti e conflittuali sorgono invece dai meccanismi della propagazione della malattia, cioè i meccanismi attraverso i quali la malattia e passa da una persona all'altra e quindi si diffonde.
Quando si presenta un problema di così vasta dimensione che interessa enormemente la popolazione e quindi coinvolge tutti, questo diventa argomento affrontato continuamente dai mezzi di comunicazioni, dai politici, dai governi e da tutta la popolazione. È evidente che chi abbia una certa competenza nello studio di uno degli aspetti di questo problema complesso tenda a dir la sua, spontaneamente o su richiesta di media e dei conoscenti.
Ci sono due possibili atteggiamenti di coloro che parlano limitatamente alle loro competenze: un modo corretto è quello di dire e di premettere che si affronta un parziale e singolo aspetto del problema complesso dell’epidemia e quindi si parla esclusivamente dell'aspetto di cui si è competenti e di fatto non si propongono soluzioni complessive al problema, ma si cerca solo di illustrarne un particolare aspetto. Questo è il modo corretto di fare comunicazione che abbia un minimo di base scientifica. C’è poi un altro modo, che a me pare molto scorretto e purtroppo è molto diffuso, che è quello di esser talmente supponenti da pensare che l'unico aspetto importante di questo problema complesso sia quello di cui ci si è occupati e quindi ogni considerazione alla fine termina quasi sempre nel proporre soluzioni che alle volte contrastano sia con chi fa lo stesso tipo di comunicazione, sia quasi sempre con chi si occupa di aspetti diversi dell’epidemia, ma simmetricamente segue lo stesso approccio scorretto.
A mio avviso è questo comportamento che causa molti dei problemi del rapporto con la scienza e con gli scienziati. Gli esempi che si possono fare sono tanti, ma quello che secondo me è il più rilevante e anche il più grave è il contrasto far medici ed epidemiologi. Moltissimi medici sin dall'inizio, hanno teso a ridurre il problema di questa pandemia considerandola una malattia e, secondo le loro specializzazioni, pensano di avere la soluzione legandola quasi esclusivamente agli aspetti specifici della cura della malattia che si sviluppa prendendo il virus. Abbiamo inoltre i virologi che analizzano il tipo di virus, le sue caratteristiche, le sue mutazioni: da parte loro le soluzioni che propongono tendono a basarsi esclusivamente sull’aspetto del virus e delle sue mutazioni. Abbiamo inoltre gli epidemiologici, i quali studiano i meccanismi di diffusione della malattia e soprattutto i ritmi con cui la malattia si diffonde, quindi basano le loro previsioni su modelli matematici che, essendo il numero di variabili in una epidemia molto numeroso, è facile che nell’uso delle variabili si facciano scelte diverse e quindi modelli matematici che portano a previsioni contrastanti. Questo vero e proprio frastuono di tante voci e opinioni diverse è innegabile che abbia contribuito a diffondere un ampio scetticismo su come la scienza e gli scienziati siano veramente in grado di affrontare proporre soluzioni a un problema così grave.
Purtroppo questo scetticismo ha portato molte persone a confondere le opinioni, per quanto parziali e limitate, di persone scientificamente autorevoli con quelle di ciarlatani e imbroglioni di tutti i tipi, quasi sempre in malafede e con obiettivi culturali e politici inconfessabili.
Si sente dire spesso che “la scienza non è democratica”: niente di più sbagliato, quello di cui stiamo parlando è proprio un esempio di come la vera scienza solamente se democratica può servire al benessere umano. Intendiamoci, non si deve intendere come democrazia la scelta della maggioranza, non è con il voto che si può decidere se la terra è rotonda, ma si deve intendere per approccio scientifico democratico la discussione e il confronto fra tutti gli aspetti scientifici e culturali di un fenomeno scientificamente complesso. Quando poi, come in questo caso, le scelte che si fanno implicano fortissimi giudizi di valore (ad esempio il rapporto fra salute e benessere economico), un coinvolgimento democratico nella discussione di posizione politiche, culturale e filosofiche diventa indispensabile.
Solo in questo modo i dissidi, le posizioni e conclusioni contrapposte non appariranno agli occhi della popolazione come lite fra galletti, ma effettivamente come confronto scientificamente e politicamente motivato. Certamente il comportamento dei mezzi di comunicazione, nella loro spasmodica ricerca della “notizia bomba”, ha contribuito non poco a dare questa immagine conflittuale e antiscientifica dei vari esperti e tecnici, ma, a mio avviso grossa responsabilità è da addebitarsi proprio a molti scienziati, che quasi sempre in buona fede non controllando il loro ego, hanno contribuito a dare una visione conflittuale e in ultima istanza inaffidabile del ruolo della scienza stessa. La fiducia invece andrebbe guadagnata e recuperata attraverso due semplici atteggiamenti di sincerità e modestia mostrando come l’affrontare problemi complessi anche la scienza ha la indispensabile necessità di una “dialettica democratica” tra impostazioni e campi diversi e le soluzioni magiche e “definitive” lasciarle ai ciarlatani, molto più bravi a inventarle!