C’è una fase o un periodo nella vita di ciascuno in cui si è soli con i propri pensieri. Quando questa solitudine riguarda temi non solo personali, ma soprattutto di carattere o rilevanza sociale e/o politica, è un disastro. Infatti, sono temi che per loro natura necessitano assolutamente di uno scambio, di un confronto, di discussioni aperte e conflittuali. Senza questa indispensabile mediazione il proprio pensiero diventa “pensiero unico”, indiscutibile e indiscusso. In mancanza di questa possibilità sino a pochi anni fa spesso la reazione a questo processo si manifestava imprecando contro la televisione o, nei casi più drammatici alle volte patologici, sfogandosi contro con chi si ha vicino, in genere familiari incolpevoli.
Oggi c’è un altro strumento: i social media. Senza la mediazione di discussioni e confronto il “pensiero unico” si manifesta in diversi modi (dipende molto dalle caratteristiche caratteriali individuali): un modo è la reazione insultante verso chi si propone con una visione culturale o politica opposta o divergente da quella propria, sono i famosi haters; un altro modo è quello di esprimere, del proprio pensiero, le conclusioni finali, frutto di lunghe ed elaborate elucubrazioni solitarie, le quali per la necessaria sintesi del mezzo del social e per la mancanza di premesse risultano quasi sempre incomprensibili e talvolta fastidiosi per chi li legge, spesso indipendentemente dall’accordo o meno del pensiero espresso; una terzo modo di rappresentare il proprio “pensiero unico” sui social è quello di presentare un’analisi dotta o presunta tale, in genere prolissa e saccente, un po’ noiosa e soprattutto che eccede la capacità di sostenibilità di lettura della stragrande maggioranza degli utilizzatori dei social, quindi quasi sempre inefficace o inutile.
Considerando il fatto che le occasioni, i luoghi e gli incontri nei quali sia possibile una seria, ordinata e amichevole discussione su temi importanti, controversi e divisivi sono diventati rarissimi se non inesistenti; scagli la prima pietra chi non riconosca il proprio comportamento, almeno in qualche occasione, in una delle tre reazioni.