Tra i negazionisti della pandemia un certo numero di persone un po’ più serie, che definirei “riduzionisti”, poggiano le loro critiche al modo, ormai esteso in tutto il mondo, di affrontare la pandemia attraverso chiusure più o meno rigide, al fatto che esse, che comunque comportano forti disagi economici a una parte sostanziale della popolazione, siano più dannose rispetto al naturale evolversi della pandemia.
Il loro ragionamento si basa su un teorico calcolo costi-benefici tra costi economico-sociali delle chiusure e benefici sanitari. Naturalmente le loro conclusioni sono che, mentre i costi sono sicuri, i benefici pochi e incerti.
Diversamente dai negazionisti “puri”, costoro accettano l’idea che il virus esista e sia pericoloso ma, quando li fanno, i loro “calcoli” di comparazione dei costi coi benefici sono asimmetrici, in quanto confrontano due quantità con diverse unità di misura: da una parte danni economici in euro, dall’altra danni alla salute delle persone. Come si suol dire, confrontano mele con pere.
In realtà il confronto tra mele e pere si può fare utilizzando il loro costo in euro: proviamo a vedere se si possa fare anche nel nostro caso della valutazione delle politiche di chiusura.
Iniziando dai costi delle politiche di chiusura, questi possono essere più o meno facilmente espressi in euro, qualche difficoltà può esserci nel monetizzare aspetti legati ai disagi personali di chi perde il lavoro o una attività, di chi è costretto a cambiarli o a farsi mantenere, è inoltre difficile monetizzare il disagio psicologico e culturale della popolazione a causa della limitazione di attività culturali, sportive, di divertimento, di riduzione della didattica, di rapporti interpersonali, ecc. Dal punto strettamente economico il costo è simile a quello di qualsiasi prolungata crisi economica ed è di possibile approssimazione attraverso la riduzione del PIL; per gli altri costi la monetizzazione è molto difficile, ma è un problema che ritroveremo amplificato nel caso della valutazione dei benefici. Un tentativo di valutazione dei costi della politica di chiusura sul sistema economico italiano è riportato nella Tabella 1.
Per analizzare i benefici di una politica di chiusura il problema è quello di fare delle previsioni su cosa potrebbe succedere in caso di una politica passiva contro la pandemia e confrontarlo con quello che succede attuando una politica di chiusure.
Per quanto riguarda l’estensione della pandemia, i calcoli sono relativamente semplici, esistono tantissimi studi che trattano dell’evolversi delle pandemie nel ritmo, nel numero e nella durata. Anche se dati su pandemie a “zero contrasto efficace” sono lontani nel tempo, l’idea è che la pandemia si interrompe quando viene coinvolta nell’infezione la maggioranza della popolazione (circa il 70%), in termini temporali circa 2 anni. Per il Covid e i suoi effetti in un anno si tratta quindi di applicare le percentuali di danni alle persone su un numero di contagiati pari al 35% della popolazione (per l’Italia sarebbero oltre i 20milioni di persone contagiate).
Si tratta ora di valutare i danni alla salute delle persone dovuti al contagio, usualmente i “riduzionisti” utilizzano unicamente il tasso di mortalità calcolato sulla popolazione: la cosa è sbagliata, infatti, trattandosi di dati in un sistema in cui è implementata una politica di chiusura, il denominatore indicante il pericolo mortale non deve essere la popolazione totale, ma quella che ha contratto il virus (in Italia si passa dallo 0,16 per mille abitanti, al 33 per mille contagiati). Inoltre, vanno conteggiate anche le ospedalizzazioni, che sono forme di malattia grave, in termini di giorni di ricovero e anche esse in rapporto alla popolazione contagiata. Non solo, è noto infatti che ci sono effetti di breve e lungo periodo, di diversa gravità, che permangono anche dopo la fine della malattia, anche se dati chiari ancora non esistono.
In conclusione, il costo immediato, in termini di danno alle persone, di una politica passiva sarà dato dal costo del numero di decessi (in termini di anni di vita persi) e di giorni di ospedalizzazione, applicando gli attuali tassi di mortalità e ospedalizzazione su un teorico numero di contagiati di 21 milioni cioè bisogna moltiplicare per 7 (35% di popolazione contagiata rispetto all’attuale 5%) i dati odierni di deceduti e malati. I calcoli di una stima approssimata e grossolana dei benefici sulla salute delle persone del confronto fra una politica di chiusura e una politica di “lasciar correre” la pandemia sono riportiti nella Tabella 2.
Veniamo ora al problema più grosso: per effettuare il confronto con i costi bisognerebbe valutare in euro quale sia il valore monetario del risparmio di circa 600 mila morti e di un numero di circa 68milioni di giorni in terapia intensiva e di un numero di circa 630milioni di giorni di ospedalizzazione. Altri benefici indiretti da calcolare sarebbero il risparmio di perdite di ore di lavoro dovute all’aumento degli ospedalizzati (per i morti, trattandosi di età elevate, ci sarebbe invece costo dovuto al mancato risparmio in termini di pensioni in meno che si pagherebbero). Inoltre, un numero così elevato di deceduti e malati è indubbio che provocherebbe danni indiretti molto elevati al funzionamento economico della società, danni che andrebbero aggiunti al risparmio dovuto alle politiche di chiusura.
Risulta evidente da questo “esercizio” come sia difficile che questi ragionamenti possano portare a una attendibile valutazione scientifica quantitativa del rapporto costi-benefici delle politiche di chiusure: però che, anche ipotizzando che le scelte di carattere politico si possano basare principalmente su un calcolo monetario, mi sembra sia molto difficile concludere che la scelta del “lasciar fare alle forze della natura” sia economicamente più vantaggioso rispetto il non tentare di limitarne i danni; del resto lo hanno capito financo, più o meno velocemente, tutti i governanti del mondo. Il tentativo di contrasto e di difesa dalle leggi della natura fa parte del patrimonio della storia dell’umanità, se così non fosse credo che ancora oggi, se sopravvissuti come specie, gli esseri umani vivrebbero felicemente sugli alberi!
Un ultimo caveat: anche se in alcuni casi il ricorso ad una analisi quantitativa costi-benefici può essere uno strumento utile per aiutare le scelte del decisore pubblico, il ricorso a questo strumento quando in ballo ci sono decisioni da prendere a forte impatto qualitativo, di carattere psicologico, morale e ideologico quale il valore della vita umana e la sofferenza fisica e psicologica delle persone, è molto meglio ricorrere a valutazioni politiche e alle relative responsabilità morali che da queste derivano.
Questo è un di più decisivo che mi fa stare dalla parte di coloro che vedono nel cercare di arginare i danni della pandemia un dovere civile e morale indiscutibile!
NOTA SULLE TABELLE
In queste tabelle si fa un tentativo rozzo e approssimato di una valutazione del confronto fra i costi e i benefici di una politica di contrasto attivo alla pandemia, rispetto ai costi e benefici di una politica passiva.
I dati sono basati sui dati pandemici ed economici dell’Italia dopo un anno di epidemia e quindi relativi alle scelte fatte dal governo italiano. Invece i dati relativi agli effetti sanitari che si avrebbero avuti in caso di politiche passive sono calcolati attraverso ipotesi di costanza dei rapporti di contagiosità, mortalità e ospedalizzazione effettivamente verificatesi. È un’ipotesi molto forte in quanto un aumento dei contagi e della relativa pressione sul sistema sanitario facilmente provocherebbe un forte aumento della mortalità.
Per quanto riguarda i dati economici anch’essi si riferiscono ai dati italiani e al confronto tra 2019 e il 2020, i valori nel caso di non chiusure sono stimati applicando all’anno 2020 il mantenimento di un “normale” trend degli anni precedenti pre-epidemia.
Mi rendo conto che si tratta di stime rozze con ipotesi discutibili, ma a mio avviso non sono lontane dall’individuazioni di misure di grandezza non molto lontane dalla realtà e che comunque possono aiutare ad avere un’idea di come fare una teorica analisi costi-benefici delle politiche alternative di contrasto alla pandemia.