Bene o male, a debito, vendendo immobili, trasferiti dall’Unione Europea, dei soldi da spendere, non pochi, arriveranno.
Ma sono soldi diversi da quelli attualmente utilizzati per interventi a pioggia utili per arginare gli aspetti più urgenti e di sopravvivenza della crisi. Sono diversi perché arriveranno lentamente e con una cadenza temporale programmata.
Saranno soldi molto difficili da gestire per tantissimi motivi, provo a elencarne alcuni:
1) Si sono scatenati gli appetiti e con essi la ricerca disperata, da parte delle varie affamate congreghe, di referenti politici in grado di gestire a loro favore una fetta del bottino. Gli scontri politici saranno strettamente legati agli scontri fra gruppi di interesse, come non mai tra l’economia e la politica sarà impossibile la distinzione.
2) La maggior parte delle risorse saranno condizionate da non specificati raggiungimenti di obiettivi stabiliti dalla Commissione europea. È alquanto probabile che questi obiettivi riguarderanno la capacità di restituzione del debito e quindi i conti pubblici correnti e patrimoniali.
3) I fondi, avendo cadenze di lungo periodo, dovrebbero essere gestiti in modo coerente e continuo nel tempo. Dovrebbero cioè seguire una gestione politica stabile per un periodo abbastanza lungo. Cosa alquanto improbabile, anzi, visto il punto 1 quello che è prevedibile sarà una notevole instabilità politica.
4) Ultimo, ma determinante, il problema tecnico-culturale della ormai definitiva scomparsa della capacità di programmazione politico/economica. Dal punto di vista culturale, ideologico, istituzionale e tecnico amministrativo il nostro paese non è in grado di organizzare una gestione del sistema economico neanche con un orizzonte temporale di breve periodo. L’orizzonte temporale della classe dirigente (politica, economica, amministrativa e intellettuale) è ormai da lungo tempo quello relativo alla sopravvivenza di brevissimo periodo, oserei dire giornaliera.
In conclusione, avere previsioni pessimistiche è più che legittimo e pensare che possa andare persa l’occasione di questa crisi per costruire una società più giusta e dinamica è il quadro più probabile che abbiamo davanti.
Un’ultima cosa va detta, una piccola responsabilità di un eventuale fallimento di un utilizzo non dico ottimo, ma almeno decente, di queste risorse andrà addebitata a tutti coloro che tendono a vedere il fallimento dall’uscita dalla crisi come causato da una combinazione confusa e contraddittoria tra fattori esterni (l’eurocrazia, la Germania, la Russia, la Cina, gli Usa, Soros, ecc.) e i capò collaborazionisti italiani strettamente legati agli interessi del proprio sponsor esterno: i cosiddetti “complottisti”. Troppo facile lavarsene in questo modo le mani, tanto più che, a seconda di quale sia il nemico principale individuato, la soluzione che si individua è quella di scegliere di essere capò della parte avversa.
Ovviamente lontana da me l’idea che lo scontro geopolitico non esista e che non incida profondamente nella politica e nelle scelte di ogni singolo paese, ma rinunciare in partenza alla possibilità di un ruolo autonomo nelle scelte di politica e di politica economica mi sembra culturalmente limitato. Al contrario, credo che la decisione sulla scelta dell’interlocutore politico da preferire debba proprio essere guidata dall’individuazione di quello che sia meglio in grado di affrontare o almeno cercare di limitare i problemi che ho elencato e che sono tipicamente problemi di gestione interna e autonoma della crisi e dell’utilizzo dei fondi per superarla.