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Violenza in politica

14/09/2024

Difficile se non impossibile essere contro la violenza. La vita è violenta, l’animo è violento, fortunatamente c’è la razionalità individuale e collettiva che cerca di regolarla, sia attraverso la sua repressione, sia nella regolamentazione della sua applicazione. Parlare in teoria di violenza: bella, brutta, utile, superflua, necessaria o gratuita, è inutile se non si individuano specificatamente chi, dove, quando, per cosa, contro chi e perché si debba usare la violenza sulle cose o sulle persone.

È una riflessione banale, ma non è stata fatta negli anni di piombo e questo ha portato a tanti errori, danni e vittime di cui, in parte, una generazione dovrebbe farsi carico.

Ad esempio, quando si parla del terrorismo rosso in Italia e in particolar modo delle Brigate Rosse si ricorre, analizzando la fase del rapimento e uccisione di Moro al termine “forzatura bolscevica” di un utilizzo della violenza in politica. Quello che, a mio avviso, non fu altro che il suicidio della lotta armata, certamente evidenziò in un “caso da manuale” la inutilità, pericolosità e equivocità di un utilizzo della violenza. La violenza si era sviluppata e teorizzata ben prima e nessun gruppo politico di quegli anni ne fu esente, anche se con responsabilità diverse. In questo senso il passamontagna di Negri rappresenta la caricatura “dannunziana” della violenza dei gruppi, in particolare dell’Autonomia e anche e soprattutto, a causa del suo peso, di Lotta Continua.

Per questo dico che nessuno si può tirare indietro rispetto la responsabilità di non essere stati capaci di costruire un livello di razionalità politica nel gestire in “modo sano” l’indubbia volontà e forse necessità di violenza presente a livello di massa in quel periodo storico. 

Quindi, rispetto all’accusa di “bolscevismo e leninismo” delle Brigate Rosse, penso che si potrebbe facilmente rovesciare il ragionamento: fu proprio la mancanza di un partito bolscevico di massa a far sì che pochi e isolati gruppi di esaltati potessero sfruttare la voglia radicale di cambiamento, ergendosi a mano armata espressione della “rabbia popolare”, mano armata che, dopo le prime operazioni simboliche per farsi propaganda, presto degenerarono in vendette personali o di gruppo tipiche nella forma (e spesso nella sostanza) della malavita organizzata. 

In conclusione, credo che dare dei “bolscevichi” alle Brigate Rosse farebbe rivoltare nella tomba la mummia di Lenin e qualsiasi vero bolscevico avrebbe fatto fucilare i brigatisti.